Al teatro Bonci di Cesena in scena l’ultima rappresentazione teatrale di Marco Tullio Giordana: “Pa’”,…
Un perfetto connubio fra recitazione e scrittura all’interno di uno spettacolo fatto di sottotesti e non detti: così mi verrebbe immediato descrivere Uno sguardo dal ponte. L’opera in questione, rivisitazione italiana dello spettacolo di Arthur Miller debuttato a Broadway nel 1955, mette in scena la tragedia di Eddie Carbone, siciliano migrato in America che, al tempo della narrazione, lavora al porto di Red Hook da 25 anni.
La storia si apre con un’introduzione da parte dell’avvocato Alfieri, il quale funge contemporaneamente da personaggio della vicenda e narratore. È doveroso sottolineare l’eccezionale abilità dell’attore Michele Nani, che può decisamente vantare il merito di essere riuscito, non tanto con le parole quanto con la musicalità della voce, il linguaggio corporeo e le espressioni facciali, a trasportare immediatamente gli spettatori nel contesto emotivo della vicenda, a preparare non le nostre menti né i nostri occhi, ma i nostri cuori, a ciò che stavamo per osservare.
L’avvocato ci introduce al protagonista della storia, Eddie, ma senza anticiparci quasi nulla del personaggio, lasciandoci il piacere di scoprirne da soli le caratteristiche. E tale decisione è, credo, intenzionale, in quanto ci porta a non avere idea del tipo di relazione che intercorre fra Eddie e Caterina, la figura femminile che condivide il palco con il protagonista durante la prima scena. La differenza di età non ci fornisce un indizio sul loro legame, dal momento che la storia si ambienta verosimilmente durante gli anni 50, periodo durante il quale vedere un uomo di mezza età sposato a una ragazza molto giovane era forse insolito, ma non implausibile. Ciò che, invece, degli indizi li fornisce eccome è la dinamica della loro interazione: lei gli mostra la sua nuova gonna, lui le chiede di girarsi più volte per osservarla da dietro, lei assume pose ambigue, lui sembra al contempo compiaciuto e preoccupato dal vestiario di lei, in un atteggiamento che non richiama completamente né la paternità né la coniugalità.
All’arrivo di un terzo personaggio comprendiamo meglio i rapporti fra i personaggi: la nuova arrivata, Beatrice, è la moglie di Eddie, mentre la diciassettenne Caterina è la nipote. Con questa informazione (e attraverso un fugace riferimento alla promessa, fatta in punto di morte alla madre di Caterina da parte del fratello Eddie, di prendersi cura della nipote) la dinamica inizialmente confusa fra i due personaggi sembra assumere senso: quella di Eddie è pura e semplice preoccupazione parentale, forse accentuata dal ricordo di una sorella defunta e dal senso di responsabilità che prova nei confronti della nipote. Gli atteggiamenti di Caterina, invece, si possono leggere come manifestazione di un affetto fanciullesco verso una figura di attaccamento paterna che, però, non è suo padre, e che non chiama nemmeno zio, ma ‘’Eddie’’.
La conversazione procede con una notizia da parte di Caterina: le è stato proposto un lavoro come segretaria, e per questo vuole lasciare la scuola. Ora, tenendo a mente il contesto socioeconomico, e dato il ruolo di Eddie come lavoratore di porto, ci si aspetterebbe da parte sua un’approvazione della proposta della nipote: la famiglia vive infatti in un sobborgo relativamente povero, in cui un guadagno fisso (di 50$ settimanali, peraltro) può giustamente essere ritenuto ben più importante di un’istruzione superiore. Eddie, però, non è contento: non gli importa del guadagno, vuole che la nipote continui gli studi. Non giustifica chiaramente questa sua decisione, si mangia le parole, si contraddice da solo.
Perché, si comporta così? Per rispondere a questa domanda vanno notati due dettagli: il primo, già discusso, è il rapporto ambiguo con la nipote. Il secondo è il suo abbigliamento, che non ricalca per niente la figura dello scaricatore di porto, ma anzi ci fa immaginare un lavoro ben più altolocato. Eddie indossa un completo elegante, con tanto di cravatta, persino fra le mura domestiche. Chiaramente non è lo stesso vestiario che indossa a lavoro. Il narratore, inoltre, sottolinea che Eddie veste sempre elegantemente. È da supporre dunque che, una volta tornato a casa dal lavoro, egli si cambi regolarmente d’abito.
Perché lo fa? La mia opinione è che sia più una scelta registica che ‘’di trama’’, che mira a distinguere la figura del protagonista da quella di un rozzo, ignorante e stereotipato portuale. Cionondimeno, questo dettaglio pone Eddie su un piano ben diverso da quello che ci si aspetterebbe da uno scaricatore. Una volta compresa la sua decisione, lo spettatore, sempre tenendo presente il contesto storico-culturale, si aspetta una forzatura della scelta sulla nipote, in virtù della patria potestà. Invece, quasi timidamente, Eddie prova a convincere Caterina a rimanere a scuola facendo leva sugli affetti famigliari, ma cede non appena la nipote e la moglie si schierano contro la sua decisione.
Questa sorta di prologo funge da presentazione dei rapporti fra i personaggi e della loro caratterizzazione, in particolare di Eddie. La perturbazione alla storia viene dopo, sotto la forma di due cugini di Beatrice provenienti dalla Sicilia e immigrati illegalmente in America. Questi cugini, nonostante apparentemente non abbiano mai conosciuto né Beatrice né la sua famiglia, sono stati accettati da Eddie sotto il proprio tetto, a tempo indeterminato. Di nuovo, c’è da chiedersi il perché. Sicuramente la comunità italoamericana, all’epoca, era molto unita, e i legami di sangue erano quasi sacri. Ma la vera motivazione va scovata, ancora, nelle parole del narratore, che definisce Eddie ‘’un brav’uomo, per quanto glielo permetta la vita che fa’’. Le parole del narratore non aggiungono mai informazioni alla vicenda, ma sembrano voler premiare lo spettatore attento, andando a confermare ciò che la narrazione già suggerisce implicitamente. Eddie è un uomo buono, e finché la sua condizione glielo permette è felice di aiutare chi ne ha bisogno. Non è, tuttavia, una persona che dà l’intero braccio insieme alla mano, e da subito si fa rispettare dai cugini immigrati, Marco e Rodolfo. Marco, più anziano, arriva quasi a venerare Eddie per l’occasione che gli sta offrendo. In Italia ha una moglie e tre figli che lo aspettano, ed è in America unicamente per mandare loro i pochi dollari che riuscirà a guadagnare. Rodolfo, fratello minore di Marco, ha un obiettivo diverso: vuole rimanere in America e diventare ricco e famoso. Immediatamente le due figure si mostrano come opposte: uno saggio, disilluso e rispettoso, l’altro ingenuo, passionale e incauto.
La mia descrizione della storia termina qui, con il vero inizio della trama, per non rovinare la visione a coloro che prima o poi potrebbero avere l’occasione di godere dello spettacolo in questa o altre versioni. Ciò su cui mi vorrei soffermare è il già citato sottotesto che accompagna la vicenda intera. Riducendo al minimo gli spoiler, il punto di forza dello spettacolo è stato, nella mia visione, la capacità di premiare lo spettatore attento, offrendo molteplici interpretazioni della storia di cui solo una, più profonda, risulta quella corretta. I fatti narrati possono essere analizzati secondo più chiavi di lettura: quella che vede uno zio protettivo e incapace di lasciar andare la propria figlia surrogata, ad esempio, oppure quella che vede un uomo che non ha raggiunto dei traguardi di vita soddisfacenti ed è quindi invidioso di un giovane ambizioso e passionale. La chiave che ho scelto e percepito io (che non necessariamente è quella corretta, ma che credo ci si avvicini) narra una storia di amore proibito, incestuoso, quasi inconscio nel senso psicoanalitico del termine. È una storia di personaggi che, uno dopo l’altro, non ammettono né agli altri né a loro stessi le proprie vere motivazioni, mascherandole continuamente attraverso giustificazioni contraddittorie e spesso buffe. L’unico personaggio che sembra parlare chiaro è, non a caso, l’avvocato Alfieri, che è anche il narratore.
Lo spettatore consapevole è ricompensato in che modo, dunque? Attraverso la possibilità di comprendere le reali motivazioni dietro la faccenda, che a un osservatore poco attento può risultare sicuramente godibile ed emozionante, ma nulla di più dell’ennesima tragedia teatrale. Non posso essere certo della veridicità delle mie parole, ma se anche esse fossero una mal interpretazione poco importa, in quanto l’arte assume valore anche e soprattutto in base alla percezione del pubblico, e se i puntini che la mia mente ha collegato autonomamente non hanno portato a un disegno chiaro e lineare, i puntini erano nondimeno lì presenti; dunque, la base interpretativa è reale ed ha un potenziale molto più profondo di quello che a un’analisi superficiale potrebbe sembrare.
Luca
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