Kristofer (Egill Olafsson), settantenne vedovo a cui è appena stata diagnosticata una malattia neurologica degenerativa,…
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Rassegna Cinema & Psiche: The Whale
Lunedì 16 si è tenuta la terza serata della rassegna “Cinema e Psiche” al cinema Eliseo. Vi ricordiamo che questa rassegna è stata organizzata dal Centro Adriatico di Psicoanalisi (PSI) e che ad ogni incontro ci saranno degli esperti nel campo della psicologia, che alla fine del film disquisiranno delle tematiche del film, rispondendo anche a tutte le domande degli spettatori.
Il film scelto per questa serata è “The Whale”, diretto da Darren Aronofsky. La pellicola rappresenta l’adattamento cinematografico dell’omonima opera teatrale del 2012, scritta da Samuel D. Hunter, il quale è anche l’autore della sceneggiatura del film. Molto in breve, The Whale parla di Charlie, un insegnante di inglese che soffre di obesità grave e che deve confrontarsi con i propri fantasmi e un amore mai rivelato che lo tormentano da anni, nonché con un rapporto irrisolto con la figlia adolescente, per un’ultima possibilità di redenzione. Sul riassunto della trama è meglio non dilungarsi, perché questo film raccoglie un numero notevole di tematiche importanti, che è meglio, ai fini della buona ricezione della pellicola, assaporare direttamente dalla sua visione e non da un blando tentativo di riassumere tutto in poche righe.
Per questa serata abbiamo avuto il piacere di intervistare la dottoressa Montemurro, che non ha avuto modo di presenziare al nostro incontro pre-film, ma che ha gentilmente risposto comunque alle domande che avevamo in serbo per lei, e la dottoressa Ruini.
Di seguito l’intervista completa:
Per la Dott.ssa Montemurro
“Come si potrebbe aiutare da un punto di vista psicologico, secondo lei, una persona come Charlie, che sembra aver rinunciato a qualsiasi tentativo di salvezza?”
Dott.ssa Montemurro: “Charlie è un uomo devastato dal dolore. Si tratta di una mancata elaborazione di un terribile lutto a cui Charlie ha fatto fronte suicidandosi lentamente con l’eccesso. Nello stadio in cui è, non è possibile fare molto. Nell’intervento di questa sera parlerò anche di questo. Noi terapeuti dobbiamo fare i conti anche con il senso di impotenza. Il “Furor Sanandi” è pericoloso. Charlie è inabissato nel dolore, non vuole curarsi. Noi assistiamo impotenti alla sua agonia.”
“Riesce a delineare una cornice psicologica al personaggio di Ellie, la figlia di Charlie, e a decifrare i suoi possibili stati d’animo e pensieri nei confronti del padre?”
Dott.ssa Montemurro: “Ellie è una ragazza sofferente, devastata anche ella dal dolore per la perdita, per l’abbandono paterno; sente un forte attaccamento al padre, ma le fa paura e cerca un rapporto con lui, seppur nella conflittualità. Ellie avvia un percorso di conoscenza di sé e del padre che apre a una speranza di ripresa.”
“Il protagonista é oppresso dai sensi di colpa, si sente responsabile per tutti gli accadimenti negativi della sua vita e come risoluzione si rifugia in una sorta di autoflagellazione. Questo, però, oltre a fare del male a lui in primis, provoca dolore anche alle persone che lo circondano, come sua figlia per esempio. Come si potrebbe aiutare Charlie, in un’ipotetica terapia, a spezzare questo circolo vizioso di dolore e trauma e ad aprirsi in modo sincero alla speranza?”
Dott.ssa Montemurro: “Come dicevo, siamo impotenti. La spinta autodistruttiva in Charlie è molto forte. Lo conosciamo ad uno stadio di sofferenza grave. Per poter iniziare una terapia la spinta vitale verso la cura dovrebbe essere maggiore rispetto a quella autodistruttiva.”
“Spesso nel film viene citata l’opera di Melville “Moby Dick”. Il filo conduttore tra il film e il libro sembrano essere la perdita e l’ossessione. Il Capitano Achab fa della caccia alla balena bianca la propria ossessione e questa ossessione lo rende vittima di un impulso autodistruttivo che poi lo consuma. Charlie sembra particolarmente legato a questa opera nel corso del libro e alla fine costudisce e rilegge più volte la tesina che Ellie ha dedicato alla balena di Melville. Cosa rappresenta quest’opera per i personaggi di “The Whale”? Si può dire, in fondo, che i personaggi del film rappresentino quelli dell’opera di Melville? “
Dott.ssa Montemurro: “È un film intriso di letteratura. Leggendo psicoanaliticamente il romanzo di Melville: Moby Dick è una parte che Achab non accetta di sé. Rappresenta il limite, la paura della morte, ciò che non è controllabile. Il romanzo di Melville ci dà un insegnamento importante e cioè che, se una persona combatte contro se stesso rischierà di morire simbolicamente, rischierà di non portare a termine quel viaggio iniziatico di morte e di rinascita. Achab e Charlie muoiono perché non riescono ad andare incontro a quella parte di sé con desiderio di conoscenza. Si matura sulla base di un riconoscimento e di un accoglimento di ciò che fa paura. Ciò che cura è la possibilità di incontrare i propri demoni e di dialogarci. Achab pervertisce l’incontro, si avvicina alla balena con una rabbia distruttiva e Charlie allo stesso modo non riesce a dialogare con quella parte di sé perché soverchiato da un dolore che si tramuta in una spinta autodistruttiva. Il viaggio che fa Charlie è un viaggio di inabissamento nell’inconscio.”
Per la dott.ssa Ruini
“Che scopo ha, secondo lei, la realizzazione di un film con questa tematica? Che messaggio voleva trasmettere il regista?”
Dott.ssa Ruini: “Innanzitutto il film è una trasposizione quasi letterale di una pièce teatrale che è una tragedia, quindi fondamentalmente l’idea del regista era proprio quella di portare fuori Broadway una tematica che, a mio avviso, è molto sentita soprattutto nella cultura americana, una cultura molto stigmatizzante per certi versi, piena di contraddizioni, e la pièce teatrale, che ripeto essere molto simile al film, mette in scena tutto questo, partendo da quello che lo sceneggiatore stesso ha dichiarato essere anche una sua esperienza di vita. Ha quindi degli aspetti autobiografici. Se vogliamo dare un messaggio più psicologico è sicuramente un film, e prima ancora una pièce teatrale, che ha sicuramente delle valenze un po’ catartiche, cioè vuole rappresentare quella che è una sofferenza molto personale ed esistenziale che lo sceneggiatore, e forse anche il regista, hanno condiviso.
“Lo spettatore che si trova di fronte ad un prodotto di questo tipo, è portato a prendere subito una posizione netta in contrapposizione all’atteggiamento della figlia oppure cerca di giustificare il motivo per cui Ellie si comporta in un determinato modo in modo da empatizzare con la stessa e quindi forse anche di giustificarla?”
Dott.ssa Ruini: “il regista del film ha voluto trasportare questa pièce teatrale in film proprio per rendere l’effetto che lui stesso ha avuto quando ha visto casualmente questa pièce a Broadway, che è stato quello di empatizzare nei confronti di personaggi che sono tutti controversi. Con la ragazzina, Ellie, è chiaro perché ha questi comportamenti di crudeltà, un atteggiamento ai bordi del disturbo antisociale di personalità; però, per certi versi, anche il personaggio principale, Charlie, non suscita un senso di empatia, se non verso la fine, verso il dipanarsi del film. L’idea è proprio quella di suscitare nello spettatore una reazione emotiva forte, nel bene e nel male, e di stimolare e suscitare un’empatia “improbabile” nei confronti di personaggi che sono tutto tranne che teneri o dolci; quindi, credo che sia stato fatto proprio apposta questo senso di iniziale repellenza, di critica molto forte per poi finire in un atteggiamento molto più empatico e di comprensione di tutti i personaggi.”
“Ad un certo punto del film, Charlie si preoccupa nel vedere che la figlia non ha amici e dice “ho paura che si sia dimenticata di essere una persona meravigliosa”; più volte afferma anche che la figlia in realtà è estremamente intelligente. Charlie sembra talmente accecato dall’affetto per la figlia da non riuscire a vedere i suoi comportamenti negativi e prova ad aiutarla in qualsiasi modo, anche quando sembra irrazionale. Se lui riuscisse ad applicare la stessa idea nei confronti di sé stesso, ovvero il fatto che si sia dimenticato della persona che è veramente, forse avrebbe più possibilità di salvare i suoi rapporti con gli altri, ma soprattutto a salvare sé stesso. Perché, secondo lei, sembra così disinteressato a salvarsi, ma allo stesso tempo dedica totalmente sé stesso alla figlia, quasi ai limiti della razionalità?”
Dott.ssa Ruini: “è molto difficile fare delle interpretazioni sulla scrittura di un personaggio con una storia così complessa. Sicuramente quello che possiamo vedere in questa messinscena, ma che è qualcosa che noi vediamo anche nella pratica clinica, nella realtà e nel lavoro terapeutico, è che le persone non sempre e comunque agiscono sull’onda della razionalità, anzi non c’è quasi mai la razionalità laddove ci sono emozioni forti, sofferenze forti e rapporti molto complessi come quelli che si vedono nel film, quindi la razionalità c’entra molto poco nell’esaminare i comportamenti. La tematica del film, con il richiamo anche a Moby Dick e con tutto il richiamo anche culturale e letterale, probabilmente ha a che fare anche con quello che è l’aspetto “sacrificale”, cioè è come se Charlie si volesse sacrificare sull’onda di quello che è un rimorso, un senso di colpa per quello che ha fatto; una volta perso tutto, dal momento che quando ha perso il suo amore ha perso anche la ragione per cui ha mandato a monte la sua famiglia e ha fatto soffrire così tanto questa ragazzina, ad un certo punto dice in una scena del film “devo sapere di aver fatto almeno una cosa buona nella vita” e credo che sia proprio quella la tematica di Charlie, almeno per come viene fuori in questa ultima settimana della sua vita, che è quella di dire “mi sacrifico, sono la vittima sacrificale” per rimediare in qualche modo al dolore e al senso di colpa che si porta dentro e su questo idealizza anche la figlia e ha bisogno di vederla come qualcosa di assolutamente bello, speciale, unico. È certamente vero che questa ragazzina ha tanti talenti ed è intelligente, ma è anche piena di rabbia e difficoltà, ma è come se lui questa cosa la scindesse proprio perché ha un suo bisogno di erigersi a vittima sacrificale. La scena finale del film è questo, o almeno io l’ho interpretato in questo modo, lui che si immola per questa figlia e in qualche modo la redime dalla sua sofferenza e dalla sua rabbia”
“lei ha citato Moby Dick, quindi si potrebbe dire un po’ che il rapporto tra il padre e la figlia rispecchi un po’ anche quanto scritto nell’opera di Melville? L’ossessione, l’abnegazione del padre nell’impegnarsi così tanto per la figlia si potrebbe intenderla un po’ come un’ossessione per dare un senso alla sua vita?”
Dott.ssa Ruini: “Sì, ma può anche essere il contrario, cioè apparentemente questa figlia alla fine deve fare i conti con la sua balena bianca, che è letteralmente questo padre così imponente, che nella sua essenza è stato così presente in forma di rabbia, sofferenza, psicopatologia e abbandono. Secondo me la ricchezza di questo film è che ci sono tanti piani di lettura e interpretazione. Potrebbe essere Charlie il Moby Dick della figlia, ma anche il contrario: la figlia così esile che però diventa l’ossessione salvifica del padre, quindi sì, ci sono tanti piani di lettura.”
“Come influiscono, secondo lei, il comportamento autodistruttivo e l’arrendevolezza di Charlie nel suo rapporto con la figlia? A volte sembra che rifiuti aiuto, per esempio quando mente all’infermiera dicendo che non ha soldi per curarsi quando in realtà ce li ha. Come questo suo lasciarsi andare e anche aver aspettato tanto per avere una connessione con la figlia, come può aver influito questo sul loro rapporto?”
Dott.ssa Ruini:” Nel film si vede chiaramente come Charlie inizia a fare una presa di consapevolezza rispetto alla sua fine, ad un certo punto va a cercare cosa significa la pressione alta su internet, quindi credo che inizi questo meccanismo di redenzione e sacrificio che lui vuole mettere in atto per dare un senso alla sua vita. Lui si riavvicina alla figlia per dare un senso alla sua vita e alla sua morte. Proprio per questo motivo non riesce, a mio avviso, ad essere un padre e ad avere le funzioni paterne tipiche di contenimento, di regola, di gestione della bambina, proprio perché comunque l’ha abbandonata, perché è morso dai sensi di colpa e perché riavvicinarsi a lei fondamentalmente corrisponde al suo bisogno di redenzione e di salvezza più che fare da padre alla bambina. E quindi credo che questo atteggiamento arrendevole sia perché non è un rapporto genitore-figlia nel verso senso della parola, nel senso più sano del termine.”
“La madre di Ellie la definisce “malvagia” e “priva di empatia”, mentre il padre la ritiene “perfetta”, nonostante il trattamento che quest’ultima gli riserva. Che cosa crea questa differenza nella visione della figlia, secondo lei?“
Dott.ssa Ruini: “Un’altra tematica che emerge nel film è come tutti questi personaggi in realtà siano ognuno nella propria bolla di come vedono le cose, come vedono gli altri, come interpretano la vita e rimangono un po’ imprigionati in questa visione di se stessi e degli altri. Sicuramente, come abbiamo detto prima, il padre ha questa visione idilliaca della figlia perché riesce a vedere solo il bicchiere mezzo pieno nella figlia e questo corrisponde ai suoi bisogni di dare un senso alla vita. La madre, anche lei è un personaggio molto controverso, ha anche lei un grosso problema di accettazione di ciò che è accaduto, tematica profonda del lutto, della perdita, dell’abbandono, tant’è che non riesce a chiamare il compagno dell’ex marito, dice sempre “l’ho visto, ho visto questa persona…”, rievoca un momento in cui si sono conosciuti ad un certo punto, ma non si è presentata. Sicuramente anche lei ha grosse problematiche di accettazione e di integrazione di quello che è successo e di conseguenza vede la figlia come colei che racchiude l’essenza di ciò che è successo. Lei è rimasta una donna single con tutte le problematiche del caso, con la vergogna di essere stata lasciata per un altro uomo e quindi è chiaro che la sua visione della figlia e di quello che è accaduto è la visione più brutta, negativa che può accadere, tant’è che poi se ne va dalla stanza di Charlie in malo modo; dopo un momento di iniziale riavvicinamento, scoppia. Quindi credo ci sia questa visione molto scissa della bambina perché racchiude dei bisogni, dei ricordi e delle dinamiche relazionali diverse tra la madre e il padre e infatti nessuno dei due fa da genitore.”
“Ellie fotografa il padre e pubblica la foto su Facebook, mostrando a tutti le condizioni in cui versa, cosa che lui ha sempre cercato di nascondere. Secondo lei, perché lo ha fatto? Per semplice desiderio di ripicca nei suoi confronti, per ferirlo? Durante tutto il corso del film, Ellie è molto schietta con il padre, spesso lo umilia, ma il padre questo lo vede sempre e solo come una facciata, che la figlia usa per nascondere ciò che prova davvero, l’affetto che prova ma che ha paura ad esternare? La pensa anche lei come Charlie, che sia solo una facciata il comportamento di Ellie, o pensa che sia genuinamente interessata a trovare una sorta di “vendetta” verso il padre che l’ha abbandonata?”
Dott.ssa Ruini: “Forse un po’ tutto ciò che hai descritto. Fondamentalmente, a mio avviso, Ellie è una ragazzina molto arrabbiata, con molta rabbia mal gestita e mal integrata, che la porta in tutti questi comportamenti esternalizzanti, ai limiti della sociopatia. Il padre è oggetto di questa rabbia e vendetta, che richiamano Achab e la vendetta nei confronti della balena bianca, quindi credo che ci sia davvero un desiderio di vendetta, però così come nel libro la vendetta porta alla distruzione perché poi Achab muore cercando di arpionare Moby Dick; la stessa cosa è un po’ il messaggio del film, cioè se il padre non riesce in qualche modo a contenere e a dare un senso a tutta questa rabbia, probabilmente questa ragazzina sarebbe davvero finita male perché ha dei comportamenti ai limiti della legalità, quindi credo che in questa missione un po’ salvifica Charlie permetta anche questa vendetta e la comprenda nella sua essenza, forse per dare un lieto a fine quella che altrimenti sarebbe una tragedia come Moby Dick.”
“È interessante vedere che una cosa che dice la madre all’inizio è che ha impedito che la figlia andasse a trovare il padre perché aveva paura che lei lo potesse distruggere, proprio perché vedeva questi atteggiamenti aggressivi”
Dott.ssa Ruini: “Mi viene in mente la scena finale in cui si vede questo omone immenso e lei questo scricciolino; mi sembra improbabile che la figlia possa distruggere questo omone così grande. Probabilmente la madre ha impedito alla figlia di avvicinarsi al padre più perché probabilmente lei temeva il giudizio di cattiva madre, di madre non adeguata a contenere tutta questa rabbia distruttiva della ragazza. Forse lo ha fatto con uno spirito di benevolenza nei confronti di Charlie, ma in realtà anche lì c’è un po’ altro, forse c’è anche una sua vendetta nei confronti della figlia e dell’ex marito. È un film, e un testo teatrale, molto complesso che richiede interpretazioni che possono essere tutte legittime, ma anche tutte molto integrabili fra loro perché ci sono molti piani di lettura.”
Ringraziamo ancora la dott.ssa Montemurro e la dott.ssa Ruini per averci dedicato del tempo e per aver risposto a queste domande in modo così esauriente. Le loro risposte permettono di analizzare in modo più efficace e profondo un film così complesso, offrendoci tanti spunti di riflessione e diversi punti di vista sulle dinamiche di personaggi estremamente controversi.
Si sa che Aronofsky non ci va leggero con i suoi film, ormai è risaputo. Infatti, spesso e volentieri, i suoi film sono difficili da digerire, creano un senso di fastidio e ribrezzo in certi momenti, per via del modo in cui il regista raffigura la parte più deviante e aberrante dell’essere umano. I personaggi dei suoi film non sono i tipici protagonisti, modelli di virtù, con cui è facile empatizzare o schierarsi. Certo, ad un certo punto si empatizza, quasi per pietà in realtà, ma prima si attraversano vari stadi di repulsione e conflitto con quei personaggi.
Le sue pellicole non sono di facile visione anche perché uno dei suoi tratti peculiari è l’utilizzo del body horror. Per chi ha visto la sua produzione cinematografica, o per chi ha visto anche solo un film tra “Black Swan” e “Requiem for a dream” sa benissimo che cosa si intende con questo; i corpi dei personaggi delle sue pellicole diventano quasi la rappresentazione di ciò che c’è di più marcio e patologico in loro, come in “Black Swan” il corpo della protagonista viene portato allo stremo dalla sua ossessione, in “Requiem for a dream” il corpo è logorato dalle dipendenze. Il corpo diventa quasi una gabbia e in “The Whale” non è assolutamente diverso, anche qui ossessione e vergogna (la vergogna che Charlie prova per via delle sue condizioni) sono presenti e anche in modo accentuato. Il body horror utilizzato da Aronofsky è uno strumento potente per veicolare i suoi messaggi, uno strumento che spesso è violento nel suo essere diretto, tant’è che nei suoi film, in generale, ci sono diverse scene che inducono lo spettatore a distogliere lo sguardo, per quanto sono crude e dirette. Ma Aronofsky non lo fa mai casualmente, è una tecnica funzionale al suo scopo, al modo in cui vuole presentare i suoi personaggi, nel bene o nel male delle loro caratteristiche.
E in fondo il suo metodo così cruento ha il suo perché, si può dire che compie egregiamente il suo lavoro perché sa come raggiungere l’interiorità degli spettatori. Inorridiamo davanti alle sue rappresentazioni, abbiamo giudizi contrastanti sui suoi personaggi, giudizi che stanno sempre sul confine tra la comprensione e l’avversione, ma alla fine si empatizza anche con loro.
The Whale è un film forte, di grande impatto emotivo, soprattutto grazie alla performance stellare di Brendan Fraser, che infatti ha vinto l’oscar per questa sua performance incredibile. È un film da vedere assolutamente, soprattutto anche in lingua originale, perché evidenzia ancora di più tutto il phatos che caratterizza questa pellicola.
Di grande impatto è anche il ruolo che l’opera di Melville, Moby Dick, ha in questo film; quest’opera fa quasi da perno per la lettura e la comprensione dei personaggi, creando dei parallelismi tra i protagonisti del film e quelli del libro, parallelismi che però non sono di scontata interpretazione, dal momento che tutto cambia a seconda della nostra visione delle dinamiche che avvengono nel film.
Anche questa volta Aronofsky ha costruito un film di grande impatto emotivo, grazie anche ad un cast azzeccatissimo, come sempre. Come già detto, ma ripeterlo fa sempre bene, questo è un film che merita di essere visto almeno una volta per via delle sue peculiarità così interessanti, quindi se non lo avete visto, dovete recuperarlo assolutamente.
Detto questo, lunedì 23 si terrà l’ultima giornata della rassegna “Cinema e Psiche” con il film “Mia” e, come sempre, il consiglio è quello di non perdervelo e di approfittare di questa bellissima occasione, che vi darà la possibilità di avere un confronto sul film con degli esperti nel settore, pronti a rispondere alle vostre domande!
Beatrice
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