Stati Uniti d’America, 2020. Un anno che pare appartenere ad un futuro lontano, in un presente che è invece più importante che mai: tra il movimento di protesta contro l’odio razziale sfociato in seguito all’omicidio di George Floyd, gli indomabili incendi boschivi che, dalla California allo stato di Washington, hanno tinto i cieli di tonalità rosso sangue, e una pandemia che ha costretto il mondo ad interrompere la propria quotidianità. Nel 2020 parlare di futuro sembra essere quasi un paradosso, una speranza incerta di sicurezza.
In questo clima di forte tensione si sono svolte le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, forse le più importanti nella storia del paese, tanto per i temi quanto per la profonda divisione dell’opinione pubblica. Da una parte, il partito repubblicano con il presidente uscente Donald Trump; dall’altra, il candidato del partito democratico Joe Biden, ex vicepresidente con Obama. Sono state le votazioni più partecipate della storia americana: secondo i dati raccolti dallo United States Election Project, è stato registrato un record sia in data di elezione (155 milioni di voti) sia con i voti anticipati, che si svolgono per posta e di persona. Solo la settimana prima dell’inizio del conteggio, 69.5 milioni di americani avevano già espresso la propria preferenza, il 50,4% in più rispetto ai voti anticipati della precedente elezione. Tra le possibili spiegazioni del record di voti postali e anticipati c’è sicuramente il fattore pandemia, che ha incoraggiato questa modalità di voto più sicura, ma è importante considerare anche la spinta della tensione sociale, che ha accompagnato questa campagna elettorale fino agli ultimi giorni delle votazioni. In alcune città i negozi sono addirittura arrivati a barricarsi per paura di probabili rivolte e saccheggi conseguenti al voto.

Movimento ”Black Lives Matter” in piazza (fonte instagram: @chrishenry)

In questo clima surreale, la società americana si è ritrovata divisa in due; da una parte una grande fetta dei ceti più umili e delle minoranze che hanno manifestato la voglia di chiudere in fretta il capitolo Trump, e, dall’altra parte, il popolo del “Make America Great Again”, desideroso di proseguire il percorso intrapreso in questi ultimi anni dal presidente uscente.
Più che un voto per la presidenza degli Stati Uniti, sembra quasi più un giudizio sul mandato di Trump, un’opportunità per scegliere quale tipo di futuro si volesse avere per il paese.
I dibattiti elettorali si sono incentrati sulla crisi pandemica e sul conflitto sociale iniziata con le proteste del movimento “Black Lives Matter” per le violenze perpetuate dalla polizia.
Gli anni di presidenza Trump verranno ricordati dai posteri come un periodo di forte tensione e spaccatura sociale, da lui alimentate con politiche razziste e discriminatorie nei confronti delle minoranze. A questo si aggiunge una disastrosa gestione dell’emergenza sanitaria che ha devastato gli Stati Uniti. Il bilancio momentaneo conta circa 250000 vittime, in gran parte evitabili se il presidente avesse ascoltato il parere degli scienziati, salvaguardando la salute della popolazione invece che preferire l’economia. Lo scetticismo di Trump nei confronti della scienza e della pandemia di Covid-19, contrario alle misure proposte dal capo del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, Anthony Fauci, ha alimentato tra la popolazione disparate teorie negazioniste, tant’è che i primi tentativi di lockdown da parte dei governatori locali sono stati contestati da folle di negazionisti armati che richiedevano in coro il recupero dei loro “diritti alla libertà”. Così l’epidemia si è diffusa liberamente, facendo sì che gli Stati Uniti diventassero il primo paese per numero di decessi e contagi (circa undici milioni di casi), colpendo soprattutto la popolazione più povera, sprovvista di un’assicurazione sanitaria (necessaria negli Stati Uniti per accedere a servizi ospedalieri ed assistenziali). Mentre il numero dei contagiati e decessi era in aumento, i consensi per il presidente, nel corso dei mesi, diminuivano.
Dalla proposta di “iniettarsi disinfettante per prevenire o combattere la diffusione”, al disinteresse per il disturbo post-traumatico da stress che si teme di vedere nei dottori ed infermieri, fino all’insistenza nel mantenere la definizione razzista, non scientifica, di “virus cinese”; l’incapacità di Trump nel gestire la crisi è diventata evidente anche per molti dei suoi seguaci. Sicuramente, il suo personale rifiuto ad indossare la mascherina, gesto che sarebbe stato utile per la sensibilizzazione della popolazione all’uso dei dispositivi di protezione, avrebbe portato ad un contenimento della diffusione dell’epidemia tra la popolazione.
D’altronde, il suo atteggiamento negazionista si propaga in diversi ambiti, nei quali continua a sostenere la propria opinione come l’unica e sola verità, nonostante le opposizioni fondate su basi scientifiche, come la questione del riscaldamento globale. Le sue convinzioni negazioniste lo hanno spinto a continuare a finanziare attività e industrie inquinanti, e a decretare l’uscita dall’accordo di Parigi sul clima, decisione che avrà conseguenze a livello mondiale, dato che l’America è uno dei paesi più inquinanti al mondo.
Le stesse tematiche, presentate al candidato democratico, hanno portato a risposte che consistono prevalentemente nel riconoscere le crisi che Trump ha invece finora ignorato. Tanto per il problema sanitario quanto per quello climatico, il piano d’azione di Joe Biden consiste nel “dare ascolto agli scienziati”. Contro la crisi pandemica da SARS coV-2 ha proposto un piano in cinque punti per ristabilire “fiducia e credibilità” al paese: dare le redini decisionali a professionisti del campo sanitario, rendere gratuiti i tamponi, ampliare programmi di sorveglianza e prevenzione, dare supporto ai medici e agli infermieri e accelerare la ricerca di sviluppo di trattamenti e di vaccini, che, una volta perfezionati, verrebbero distribuiti gratuitamente, indipendentemente dai diversi piani di copertura sanitaria. In prospettiva della fine della emergenza, Biden ha inoltre già formulato un piano di ripresa economica, con la creazione di 11 milioni di posti di lavoro e la focalizzazione sulla lotta contro le disuguaglianze economiche e sociali. Per quanto concerne invece l’aspetto climatico, viene ribadita la necessità di ascoltare la scienza, con il rientro nell’accordo di Parigi, e una transizione più “dolce” rispetto a quella del Green New Deal: eliminazione netta delle emissioni entro il 2050, investimenti sulle energie rinnovabili, tasse sulle emissioni, incentivi per favorire mobilitazioni pubbliche alternative. Non mancano però le critiche anche al programma elettorale di Biden che, nonostante alcuni passi in avanti sulla questione clima, potrebbe non essere abbastanza, considerando anche che alcune attività dannose per l’ambiente (come il processo di fratturazione idraulica, o fracking) non verranno da lui totalmente eliminate, ma solamente limitate.
E in questo consiste il problema principale della scelta a cui sono stati sottoposti gli americani con questa elezione: nonostante Biden si presenti come più preparato per la gestione della crisi, egli
non è la soluzione, bensì l’alternativa. C’è consapevolezza del fatto che non sarà la vittoria di Biden a portare la soluzione alla crisi sistematica in cui gli Stati Uniti si ritrovano.
Riportando le parole di Alexandria Ocasio-Cortez, membro democratico del congresso statunitense: “La macchina del razzismo istituzionalizzato, dell’omotransfobia, della misoginia è stata messa in moto, e Trump, con il suo odio gratuito per chiunque fosse da lui considerato diverso o inferiore, ne ha incarnato un simbolo.”

Risultato elezioni Usa Rosso: stati repubblicani; Blu: stati democratici (fonte instragram:@clay.banks)


La vittoria ufficiale di Biden, arrivata con circa 8 milioni di voti quattro giorni dopo l’inizio del conteggio, è stata ottenuta con importante margine a suo favore (306 contro 232 per Trump); fondamentali – quanto inaspettati – il cambio colore di Georgia, che non propendeva per il candidato democratico dal 1992, Arizona, Wisconsin, Michigan e Pennsylvania, stati che avevano favorito l’attuale presidente nella elezione precedente. Tuttavia, gli Stati Uniti si ritrovano ancora oggi in una situazione di stallo, poiché Trump ha rallentato i procedimenti di passaggio della presidenza, autoproclamandosi vincitore anche se lo spoglio, seppur non ancora concluso, indicava in vantaggio Biden. È comunque notizia di pochi giorni fa che Trump abbia iniziato le procedure burocratiche per passare la presidenza. In queste ultime settimane abbiamo assistito ad un patetico tentativo di Trump di negare i risultati ufficiali delle elezioni con rincorsi legali tutti rigettati al mittente. Ha cercato in tutti i modi di agitare i suoi sostenitori diffondendo sui social, fake news di brogli elettorali mai dimostrati. E anche lui, alla fine, si è dovuto arrendere all’evidenza della volontà democratica.
La Casa Bianca sembra dunque destinata ad ospitare nuovamente Biden, seppur sotto nuove spoglie, e la prima vicepresidente donna, la senatrice Kamala Harris. Questo primo passo nella direzione del cambiamento non significa però smettere di lottare per i propri diritti. Anzi, questo è il momento più importante per assicurarsi che la voce di chi finora è stato ignorato venga udita più forte che mai. Il primo spiraglio di innovazione è stato aperto: è importante ora continuare a spingere verso soluzioni sempre migliori, soprattutto a favore delle minoranze, che peggio hanno vissuto gli anni della presidenza di Trump. In quest’anno dal presente incerto, richiedere cambiamento è importante come non mai per avere la certezza di un futuro.

Martina Marchese

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