Chi mi conosce sa bene che non è per niente raro che da un giorno…

Gli esami sono nuovamente alle porte e le lezioni sono asfissianti, ma è tutto nella norma e così dopo una mangiata di sushi e un amaro con gli amici, anche un’altra giornata giunge al termine. Ovviamente non c’è nulla al di sopra di una buona dormita, ma non prima di aver visto un episodio della serie che stai seguendo, giusto per eliminare un po’ di ansia e vedere se il protagonista finalmente bacia colei che l’ha fatto invaghire dal loro primo sguardo, nonostante credi che lei sia una bastarda senza cuore, ma soprattutto un’ipocrita, criptica e subdola. A quel punto ti viene in mente che magari è il famigerato ciclo che incombe a farti pensare ciò e che in fondo al cuor non si comanda. Poi ti ricordi di essere uomo.
Così, tra un dubbio adolescenziale e l’altro, capisci che è bene tornare a fare ciò che riesce meglio: cerchi “Alt-J” su Spotify, imposti la riproduzione casuale e ti lasci avvolgere dalle candide note che, se da un lato deprimono, dall’altro scaturiscono emozioni imprescindibilmente autentiche e tali da liberare dalle catene la fiera nella tua testa e lasciarla correre nelle lande desolate in cerca di migliori auspici per il suo futuro che, certamente, tu non potevi assicurarle data l’indole, in principio, lasciata intendere. Non sei abbastanza aggressivo per lei, forte, coraggioso, imperturbabile. Non sei abbastanza. Come se non bastasse essere derisi dal proprio io, è solo nel cuore della notte, tra un’imprecazione e l’altra, che togli le scomodissime cuffiette in vista di un’armonia diversa, magari paradisiaca. Nei sogni si può fare tutto, no? Sì. Proprio tutto. Nonostante tu lo sappia, tuttavia, vinci la tua voglia di spaccare tutto facendo materializzare armi da ogni dove alla volta di una rappresentazione firmata “La tua mente”. “Un film avvincente” dice la critica; “Mmm… Bello” dice la mamma; “Preferisco i Western” dice papà”; “Preferivo Alt-J” dici tu, alla fine del film. Effettivamente il buon vecchio Spotify non si smentisce mai, a differenza tua che se un giorno dovessi mai avere ragione, organizzerai la festa più bella della tua vita. Difatti l’intreccio era degno del film di un sogno: ambienti che variano in uno sbattere di palpebre, persone che cambiano umore allo stesso tempo, vicessitudini e azioni che, nella loro frenesia, sono semplicemente coinvolgenti e ammalianti. Forse la critica aveva ragione: il protagonista si ritrova in un meraviglioso e architettonicamente mirabolante teatro e lì ritrova la sua Laura.
Allora la vecchia probabilmente incaricata della scenografia prende il vinile, l’unico presente nel teatro, lo appoggia sul giradischi con la delicatezza di chi ne vorrebbe utilizzare di più, ma ne ha fatto eccessivo uso nel corso della sua vita, e, con far discreto, poggia accuratamente la puntina su di esso. Parte un lento. La musica più dolce e bella che abbia mai sentito, un po’ come lei che sinuosamente si permette di creare delle pieghe sulla sua giacca, la quale, a colpo d’occhio, sembra morbidissima al tatto e così affabulante dal suo verde bottiglia che, da quando il mondo è tale, adori. Tuttavia è in quel momento che noti le tue scarpe da ginnastica, i jeans e la tua indegna felpa sporca di vino e tutto ciò non può di certo competere con l’eleganza espressa implicitamente ed esplicitamente dalla suddetta che, anche nei momenti meno opportuni, sfoggia con adeguata sfrontatezza e arroganza. È in quel momento che ti accorgi che lei non sta guardando te, che il cavaliere a porgerle la mano non sei tu, fisicamente troppo distante perché possa vedere la tua, metafisicamente lontanissimo perché possa notarti. Allora, mesto e palesemente sconvolto, prendi una sedia, magicamente comparsa nella sala proprio per questo fine: ti ci rannicchi su e tra un colpo d’occhio e una fissazione sul pavimento pensi di non meritare tutto ciò, a come queste vicende accadano solo e solamente a te, ma soprattutto che ormai il danno è fatto. È ora di svegliarsi, fare colazione e riprendere la routine.
Buongiorno Laura.
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