Chiamami col tuo nome

 

Facciamo un gioco, vi va?
Chiudete gli occhi insieme a me (okay, tecnicamente non potete, è vero, state leggendo questo articolo, ma facciamo “come se”), sgombrate la mente da qualsiasi pensiero e lasciatevi guidare dalle mie parole. Immaginate, che è una tecnica ormai in disuso al giorno d’oggi, quasi quanto la fantasia.

Italia, anni ’80 del ventesimo secolo.

Una villa settecentesca sperduta nel verde fra le province di Brescia e Bergamo. Un diciassettenne italoamericano che trascorre le sue vacanze ingannando il tempo in attesa del ritorno a scuola.
E’ in questo scenario che ci trasporta il regista Luca Guadagnino nel film Chiamami col tuo nome, ispirandosi al romanzo omonimo di André Aciman, ed è qui che conosciamo il protagonista Elio Perlman (Timothée Chalamet), un ragazzo riservato e solo all’apparenza tranquillo, dietro i cui occhi inquieti si agita un mondo di riflessioni e sarcasmo malcelato, che trascorre le sue giornate estive all’insegna della libertà, della natura e delle letture.

Figlio di genitori intellettuali e dalla mentalità incredibilmente aperta se si considerano gli anni, merito forse anche delle origini oltreoceano, Elio non si aspetta certo che la sua vita cambi con l’arrivo di uno dei tanti studenti universitari che ricevono ogni estate nella villa in campagna; è perciò con un’iniziale indifferenza che accoglie Oliver (Armie Hammer), americano ventiquattrenne dalla mentalità brillante e i modi affascinanti.
Sei sono le settimane che cambieranno la vita di Elio, all’insegna della scoperta di se stesso e della conoscenza di Oliver, in un rapido susseguirsi di nuove esperienze che lo porteranno a conoscere quanto di più bello e sofferto esista al mondo: l’amore.

Perché è proprio questo che il film descrive, al di là di ogni polemica che l’ha portato ad essere escluso da diversi cinema o addirittura interi territori, forse giudicato “immorale”: una semplice, naturale storia d’amore fra due giovani che si sviluppa fra incomprensioni e condivisione, senza bisogno di alcuna etichetta per essere definita.
La cosa che dovrebbe colpire di più, piuttosto della natura omosessuale del rapporto, è la dinamica col quale esso si sviluppa: lento all’inizio, quasi impossibile da percepire per lo spettatore che rimane un’ora abbondante incollato alla poltrona del cinema col dubbio di dove stia davvero andando la storia, per poi scoppiare all’improvviso in tutta la sua verità, senza censure.

Elio e Oliver che non sentono la necessità di definire ciò che sono o di pensare ad un posto per la loro storia nel futuro ci raccontano come alla fine, nonostante le nostre paure, nessuna relazione ha necessariamente bisogno di etichette o categorie per essere autentica; a volte, basta semplicemente che essa sia vissuta. E ciò non la rende meno vera di una data di anniversario o una promessa solenne.

 

E’ proprio questo che il padre di Elio ci comunica alla fine del film, con un discorso commovente al figlio:

“Stai male e ora vorresti non provare nulla, forse non hai mai voluto provare nulla, ma ciò che ora provi io lo invidio… Soffochiamo così tanto di noi per guarire più in fretta, così tanto che a 30 anni siamo già prosciugati e ogni volta che ricominciamo una nuova storia con qualcuno diamo sempre di meno, ma renderti insensibile così da non provare nulla, è uno sbaglio…”

Amare è ciò che ci rende migliori, non importa se il sentimento sia corrisposto o meno, se soffriremo fra un mese o fra cinque anni, se il rapporto finirà o durerà per tutta la vita: è solo amando che impariamo a vivere e conoscere noi stessi.
Attraverso gli occhi di un regista italiano che guarda all’Italia con gli occhi di uno straniero, forse perché sempre maggiormente apprezzato oltreoceano, utilizzando un linguaggio cosmopolita e mostrandoci un’Italia vista da fuori più che vissuta da dentro, Chiamami col tuo nome giunge a noi come una storia difficilmente apprezzabile dal grande pubblico, un film quasi “di nicchia” a dire il vero, ma incredibilmente potente e coinvolgente nella sua narrazione di un amore per certi versi adolescenziale ma per altri così maturo che tutti noi dovremmo trarne ispirazione per riflettere su ciò che davvero conta.

Al di là di ogni categoria e pregiudizio.

 

Giada Silenzii

 

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