Eleonora: Accabadora è stato portato sul palcoscenico del teatro Bonci di Cesena il 4 e il 5 novembre. Il termine s’accabadora, ovvero “colei che finisce”, è una figura femminile presente nella mitologia sarda con il tragico ruolo di compiere l’eutanasia sui malati senza possibilità di guarigione, sotto richiesta del malato stesso o dei suoi familiari. Questa rappresentazione, con Anna Della Rosa, Carlotta Corradi alla drammaturgia e Veronica Cruciani alla regia, prende vita come adattamento del romanzo Accabadora di Michela Murgia, pubblicato nel maggio 2009 e vincitore del Premio Campiello nel 2010.
La storia, ambientata a Soreni, un paese della Sardegna, viene narrata tramite un monologo della protagonista Maria Listru, legata profondamente in un rapporto madre-figlia con Bonaria Urrai. Maria si rivolge a Bonaria, inizialmente con toni dolci e di confidenza, che, in un graduale climax, si trasformano in confusione, incredulità, rabbia e orrore.

Sofia Luce: Mi han sempre stupito i monologhi. Come una persona, da sola, potesse frantumare il bisogno della reciprocità, potesse metterci tuttə a tacere. Potesse bastare.
Lo stupore è comune: andate su YouTube, cercate una raccolta qualunque delle “migliori” scene di recitazione. Troverete sempre dei monologhi. Se non dei monologhi, dei litigi, che altro non sono che monologhi scambiati a turno.
Lo stupore è comune, e altrettanto comune è l’imbarazzo. Per ogni monologo ben riuscito, penetrante e ritmato, ce n’è un altro che inciampa, che annoia, che si dà troppa importanza.
Per cui, quando ho saputo che sul palco ci sarebbe stata una singola attrice, la mia prima reazione non è stata di stupore, ma di paura. Accabadora è un libro ricco di personaggi, come può bastare una singola voce? La paura se n’è andata dopo 5 minuti.

L’impostazione di Carlotta Corradi è brillante: tutto lo spettacolo è un lungo, ininterrotto dialogo fra la protagonista e la zia, l’accabadora, il pubblico in sala, io ed Eleonora. La zia risponderà solo negli ultimi 5 minuti, con la frase finale più delicata possibile.
La voce di Anna Della Rosa racconta tutto l’intreccio con una tale efficacia che ci si dimentica che non se ne vedrà nulla. Ogni tanto se ne esce con un accento sardo che a me, romagnola da anni, non ha destato nessun sospetto. A Eleonora, sarda d’origine, ha dato un po’ fastidio, specificando però che “è migliorato strada facendo”. È un peccato, ma al di là di questo il livello della recitazione è molto alto.
I costumi sono semplici e essenziali, così come la scenografia. La luce lavora sugli spazi, e allarga o restringe la scena a seconda del contesto. Ricordo un momento in cui tutta la scena si è fatta nera, e l’attrice, vestita dello stesso nero dello sfondo, è stata circondata da un solo fioco bagliore di luce. La mia vista ha smesso di registrare qualsiasi dettaglio. In fondo era un giochetto semplicissimo, ma mi ha colpita molto.

Non posso fare troppi confronti diretti con il libro di Michela Murgia, non avendolo mai letto per intero, ma il giudizio complessivo è più che positivo. Sono uscita con la consapevolezza d’aver visto qualcosa di bello. L’applauso è stato lungo e sentito, e l’attrice è rientrata così tante volte che le è venuto il fiatone.

Eleonora e Sofia Luce

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