Per la sua 25ª edizione, la storica manifestazione dedicata al teatro e alla scuola si…

La montagna raccontata dall’arte circense
Serata del 9 Aprile, al sicuro nel mio palco del prim’ordine del Teatro Bonci. Dalla confortevole e confortante sedia di velluto verde, sono stata teletrasportata nell’immensità della montagna grazie allo spettacolo White Out. Io sono completamente digiuna dal mondo della montagna, anzi essa è un luogo che, per qualche ragione, mi regala un senso di angoscia e smarrimento al suo solo pensiero. Nonostante ciò, l’esperienza coreografica di White Out mi ha catturata e forse ho cominciato a comprendere cosa spinga alcuni ad intrappolarsi nelle sue tempeste, a finire sospesi nei suoi strapiombi di ghiaccio.
‘White Out’: una situazione estrema che si verifica in montagna quando una copertura nuvolosa ed un terreno innevato si incontrano, per dare luogo ad un incubo di bianco. Tutta la luce viene riflessa: impossibile procedere né tornare indietro.
Questo concentrato di fisicità ed emozione viene raccontato magistralmente attraverso la danza, l’arte circense ed una narrazione dal taglio cinematografico. Ed il risultato è un’esperienza entusiasmante. Infatti, l’ambizione dello spettacolo è quella di ‘trasformare l’alpinismo in un linguaggio artistico’, dalle parole di Piergiorgio Milano, autore e co-interprete.
Un palco innevato, ma di una neve leggera, solo accennata. Tre personaggi: danzatori-alpinisti. In aggiunta a ciò, solo l’intero assortimento dell’attrezzatura da alpinismo tra corde, tute, picozze, ramponi, guanti, imbragature, moschettoni. A confrontare questo elenco di lessico tecnico c’è solo la corporeità e l’abilità circense dei tre performer.
Verrebbe da pensare che l’inclusione di materiale così tecnico ed ingombrante come l’equipaggiamento da montagna possa far correre il rischio di ricadere nel comico, ridicolo, quasi in una pantomima dell’alpinismo. Invece, è proprio la relazione materica con le attrezzature da alpinismo a costituire il nucleo dello spettacolo. Esse non sono relegate a meri oggetti di scena ma diventano quasi corporee, vettori per l’evoluzione del racconto al pari degli attori stessi. Le corde da alpinismo diventano le interiora di una creatura che esce dal buio della notte innevata ma anche sottili fili che legano al cielo uno dei personaggi nel bellissimo finale. Gli stessi sci, oggetti notoriamente goffi quando usati al di fuori del loro scopo, vengono sfruttati invece in maniera magistrale per la coreografia, che in me è rimasta la più impressa tra tutte. Non avrei mai pensato che una danza con gli sci potesse essere così aggraziata e poetica.
Allo stesso modo, i corpi degli attori stessi diventano quasi oggetti. Ci ho messo un po’ a capire che ciò che veniva trascinato dal personaggio in apertura dello spettacolo non era mera zavorra indefinita ma proprio i corpi degli altri due compagni alpinisti, a sottolineare come tutti i nostri presunti privilegi di esseri senzienti si dissolvano in luoghi come la montagna. Essa potrebbe spazzarci via in un attimo, come oggetti inanimati.
Abbiamo a che fare con artisti di circo e danzatori, quindi, i nostri occhi sono coccolati da acrobazie, virtuosismi e movimenti aggraziati. Nella loro coreografia però, gli attori non tralasciano mai di manifestare tutta la fisicità del peso, della massa, della fatica. Sempre presente una misteriosa sfera, dall’aria pesante, densa e che sembra di primaria importanza ai protagonisti. Essa è nera, metallica, ma riflettente: quando illuminata i raggi di luce si irraggiano fino alla platea ed ai palchi.
‘La conquista dell’inutile’ è il sottotitolo dello spettacolo. Ci si chiede infatti, che cosa spinga gli alpinisti ad impegnarsi così tanto per rischiare di morire. L’obiettivo è la conquista della vetta? Oppure, per dirlo con un’espressione forse un po’ inflazionata, la conquista di sé stessi?
La ricerca di sé viene rappresentata in maniera esemplare nel già citato finale in cui uno degli alpinisti si trova sospeso, spogliato della tuta tecnica e di tutte le protezioni, a lottare con le funi per raggiungere il cielo. L’onnipresente sfera però, continua a pendere dalle sue spalle e gli impedisce la salita. Per quanto ci sforziamo di avanzare e lottare per scoprire noi stessi, ci sarà sempre un peso che tende a trascinarci giù. Ma cos’è questo peso? Forse è proprio l’io che stiamo cercando, e ci basterebbe voltarci per scoprirlo.
La conquista dell’inutile.
Elena Macrelli
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