“Lazarus” emoziona il pubblico romagnolo tra musica, memoria collettiva e visionarietà

Presso il Teatro Bonci di Cesena nella cornice di una primavera appena cominciata, si sono svolte due repliche del musical Lazarus, scritto da David Bowie in collaborazione con il drammaturgo irlandese Enda Walsh.

L’opera debuttò presso il New York Theater Workshop nel dicembre del 2015, un mese prima della scomparsa del noto artista e proprio per questa ragione è comunemente riconosciuta come il suo “testamento creativo”. Si può così immaginare, e comprendere meglio, la radice più profonda di questo prodotto artistico, il quale fu ispirato dal film “The Man Who Fell To Earth” del 1976, frutto dell’adattamento cinematografico del romanzo di Walter Trevis del 1963, diretto da Nicolas Roeg, in cui Bowie stesso recitò come attore protagonista.

Solo pochi anni sono trascorsi prima che Lazarus potesse raggiungere l’Italia e i meriti del lavoro di traduzione sono da ricondurre a Valter Malosti, regista teatrale, direttore artistico e non solo! La visione dello spettacolo non può che confermare, accogliere e sostenere la sensibilità di Malosti, che ha tradotto tutti i testi di Lazarus per rendere fruibile allo spettatore italiano, nel nostro caso, un prodotto teatrale che di per sé mostra forti affinità con la sua stessa ricerca artistica. Dal 2018 dirige la Fondazione Teatro Piemonte Europa di Torino e dal 2021 fino al vicino maggio 2025 svolge il ruolo di direttore per Emilia Romagna Teatro Fondazione. Sembra che la storia di quest’opera continui a propagarsi come un’eco frattale, ricollegando nel tempo le storie di coloro che hanno preso parte alla direzione artistica.

Quest’anno, il Teatro Bonci ha accolto per la seconda volta, dopo due anni dal suo primo debutto a Cesena, la messa in scena della pièce in due repliche, che si sono svolte il 5 e 6 aprile. Un cast ricercato, con nomi di spicco nel panorama teatrale e musicale, ha interpretato i numerosi personaggi di Lazarus e ben otto musicisti selezionati hanno accompagnato lo spettatore, quasi per tutta la durata. L’opera si svolge come un racconto mediato da canzoni, in cui probabilmente Bowie, il quale scrisse nuovi testi per dare vita a questo spettacolo, poteva trovare uno strumento efficace per accompagnare lo spettatore nella fruizione dell’opera e trasmettere, attraverso il canto, un’emozione profonda.
Brevi scene recitate, sia attraverso proiezioni su schermi che con attori in loco, senza dimenticare la particolarità e la cura della scenografia stessa, rendono lo show, della durata di due ore, un racconto fluido e scorrevole.
La storia, di per sé sospesa nel tempo, pone lo spettatore nella posizione di interrogarsi sul ruolo dei numerosi personaggi che man mano si presentano, i quali compaiono uno dopo l’altro, dando progressivamente corpo a una trama che troverà compimento nel corso della rappresentazione.
Manuel Agnelli interpreta Thomas Jerome Newton, ruolo che fu di Bowie nel film del 1976. Il protagonista soffre di una malattia e si ritrova a dialogare con due figure femminili nella sua immaginazione, chiamata talvolta “quello schermo nero” durante lo spettacolo.

Tra un bicchiere di gin e la ricerca di un Twinkies da sgranocchiare, l’immagine della donna che fu il suo primo amore, Marilou, lo perseguita, mentre una ragazza, Marley, interpretata da Casadilego, vincitrice di X Factor 2020, compare anch’essa, con un percorso diverso, nell’immaginazione di Thomas, sospesa com’è tra la vita e la morte, tra due mondi. Marley troverà in Thomas la sua via per la redenzione e questa costerà all’uomo la perdita della sua ultima speranza.

Come accennato, numerosi artisti hanno preso parte alla performance e meritano di essere ricordati Camilla Nigro e Dario Battaglia, che si distinguono per i loro ruoli – tutt’altro che secondari – soprattutto nella seconda metà dello show, dove ballano, cantano e recitano ricevendo lauti applausi dal pubblico.
Manuel Agnelli e Casadilego hanno anch’essi ricevuto calorosi applausi dal pubblico del Teatro Bonci, sostenendone così il successo già ampiamente riscontrato nel panorama musicale. Un pubblico attento dunque, quello che ha applaudito anche i musicisti a seguito di una scena in cui accompagnavano musicalmente una delle cantanti mentre si esibiva in una performance recitata e proiettata in sala attraverso lo schermo. Diciamolo! Troppo spesso l’orchestra è avvertita come parte dello sfondo a teatro, forse proprio perché crea un’armonia che diventa imprescindibile per la buona fruizione dell’opera, in particolare in un caso come quello che stiamo trattando, dove la musica fa da perno.

Dal mio punto di vista, ho trovato la rappresentazione sospesa in una ulteriore dimensione, che è quella della fusione della musica di stampo rock nelle sue sfumature e la rappresentazione teatrale. Per la generazione cui appartengo, potevo facilmente pensare a Lazarus come un tributo a Bowie, in cui la trama avesse preso vita attraverso un accurato susseguirsi di emozioni veicolate dai testi delle sue canzoni. Sapere invece che alcuni dei successi musicali di Bowie provengono dalla scrittura di Lazarus mi ha fatto comprendere meglio la visione sfaccettata di colui che inizialmente conoscevo solo attraverso le canzoni.
Circa 17 tracce sono state eseguite durante lo svolgimento, dando anima ad ogni personaggio. Il lavoro di scrittura necessario alla limatura finale non può che dare a David Bowie un posto d’onore nel panorama artistico, ed elevarlo dalla forma classica della figura del cantante a quella di artista poliedrico – ammesso che non lo pensavate già!

Con Lazarus, Bowie non ha solo lasciato un testamento artistico: attraversa tempo, spazio e memoria per ricordarci il potere dell’arte, che sa farci sentire meno soli, anche quando chi l’ha creata non c’è più.
Un invito che Bowie stesso ci trasmette, perfettamente in linea con lo spirito di questa pièce: “Turn and face the strange.”

Un caro saluto a voi lettori,

Laura Sciabica

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