Ero più contento di sapere che era buttana che mezzo masculu
(Salvatore, padre di Angela)


Siamo nella Sicilia di metà ottocento: due ragazze, Angela e Sara, si amano. Si conoscono fin da bambine ed entrambe conoscono bene cosa voglia dire crescere nella violenza e nei soprusi. Sono femmine e già questo significa portare addosso una condanna in un contesto mentalmente ottuso e intriso di maschilismo. Il padre di Angela, infatti, è il classico “padre padrone”: fin dalla nascita non accetta la figlia, colpevole di essere nata femmina e quando quest’ultima si ribella rifiutandosi di sposare l’uomo che lui le impone, la picchia e la tiene segregata affinché gli dimostri obbedienza. Sarà la madre della ragazza, anch’essa vittima del “marito padrone”, a salvarla facendo credere a tutti che in realtà Angela è un maschio e che c’è stato un errore alla nascita. Inizia quindi la trasformazione della ragazza che dovrà indossare abiti maschili e imparare a comportarsi come “un vero uomo”.

Alla fine sarà proprio il padre che portando Angela, ora Angelo, tra gli operai della cava le insegnerà a diventare “un capo” e a gestire gli affari.
Sara è inizialmente riluttante ad iniziare una relazione con Angela che addirittura le propone di chiedere la sua mano e quando le si dichiara, Sara diventa scostante, timorosa di ciò che “potrebbe dire la gente” e finisce per fidanzarsi con un ragazzo, Tommaso, mentre Angela si trova segregata.
Alla fine Sara è costretta ad arrendersi ai suoi sentimenti rendendosi conto di essere anch’essa profondamente innamorata dell’amica d’infanzia e decide di sposarla: ora che ogni traccia della femminilità di Angela è stata annientata, la cosa può realizzarsi senza scandalo alcuno. Non è più necessario accontentarsi di qualche fugace incontro intimo, allontanandosi nel bel mezzo della processione per una boccata d’ossigeno e di passione. Non importa se di Angela non rimane che un ricordo sbiadito, l’importante è stare insieme: “Io questi vestiti tutta la vita me li tengo se stiamo insieme, tutta la vita…”

Viola di Mare non racconta una storia, racconta la storia. Non è un “romanzo rosa”, anzi, di rosa non ha proprio nulla. Piuttosto è uno spaccato su una cultura che sembra lontanissima nel tempo e che invece è fortemente attuale, basta leggere i titoli di alcuni articoli di giornale:
“Roma, tenevano la figlia segregata perché lesbica: liberata. Indagata la madre” (2018, fonte La Repubblica). Oppure “Genitori lo credono gay e lo segregano” (2019, fonte Sky TG24).
Viola di Mare però è anche la storia di una passione divorante, di un sogno vissuto fino all’ultimo respiro, di battaglia e di resistenza. Angela e Sara, prima bambine poi donne, giocano, corrono, si inseguono, si cercano, si sfiorano, fanno l’amore, muoiono e rinascono, ma fioriscono sempre, nonostante tutto. Per poter vivere insieme, qualcosa deve morire. Muore Angela donna, ma non importa. L’importante è proteggere quel sentimento, quel respiro di libertà che giace sullo sfondo, accanto al mare sconfinato.

Claudia Cavagnuolo

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