Chi mi conosce sa bene che non è per niente raro che da un giorno…

È da poco finito Maggio, mese in cui, come tutti sicuramente sapete, si tiene il festival migliore della storia dei festival.
No, non il Vans Warped Tour, quello inizia tra poco, nemmeno il Download, quello è la prima settimana di Giugno, e nemmeno Glastonbury, che oltretutto quest’anno non c’è.
Quello di cui sto parlando è niente di meno che la crème de la crème della musica che non ascolta nessuno: lo Slam Dunk fest.
Quest’anno c’erano State Champs, As It Is, Palaye Royale e addirittura Speak Low If You Speak Love in acustico.
Avevo gli occhi a cuoricino e un sorriso da orecchio a orecchio al solo pensiero.
C’era solo da scegliere se andare a Leeds, Birmingham o in un paesino a sud di Londra di cui non ricordo il nome.
Anche la voglia c’era, e ce n’era tanta: c’era Ryan Scott Graham, avrei fatto quasi qualsiasi cosa per esserci.
Ma cosa non c’era?
I biglietti dell’aereo.
Quelli proprio non c’erano.
Nessun giorno a nessuna ora.
A nessun prezzo.
Mai.
E così è successo che quest’anno ho rinnegato le mie origini, evitato il pop-punk e tradito il mio personaggio usuale, andando a vedere il concerto più mainstream dell’anno: gli Arctic Monkeys.
A posteriori, ancora non so affermare con certezza se sia stato più difficile trovare i biglietti o imparare tutte le canzoni della setlist con due sole settimane di preavviso, ma se il chitarrista del tuo gruppo ti propone di andare a vedere i principi dell’indie proprio lo stesso giorno in cui saresti stata sul divano a guardare la data di Birmingham dello Slam Dunk attraverso Instagram, che fai, non ci vai?
E così sono finita a Roma, in un auditorium tanto grande quanto brutto, a sentire Alex Turner dire “grazie” ogni tre per due, dalla sua grandezza paragonabile ad un fagiolo, data la distanza a cui mi trovavo, circondata da gente che pensava fosse possibile pogare su R U Mine?.
Ai posteri l’ardua sentenza.
Era un po’ che non andavo ad un concerto degno di ritenersi tale, e tutto ciò mi ha fatto riflettere, perché sì, è vero, i concerti piccoli sono più belli, ma finché non hai un musicista addetto esclusivamente a suonare il cembalo non sei nessuno.
E gli Arctic Monkeys ce l’hanno.
E la cosa mi ha scioccato non poco.
Sofia Mariani
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