Al teatro Bonci di Cesena in scena l’ultima rappresentazione teatrale di Marco Tullio Giordana: “Pa’”, interpretato da un Luigi Lo Cascio in grande spolvero che per 70 minuti tiene incollato il pubblico romagnolo con una performance sentita, intima ma soprattutto fisica, nelle movenze e nell’articolazione della voce, che si alterna tra un fortissimo e maturo vigore e un andamento quasi cantilenato a ricordare l’infanzia in tutte le sue sfaccettature; quest’alternanza connette nella maniera più naturale possibile l’Io poetico maturo e i frammenti inevitabili del suo passato.

L’opera (che se non si fosse inteso è incentrata sulla figura grande poeta italiano Pier Paolo Pasolini) ha come fulcro il concetto di tempo, parte dall’infanzia del giovane Pa’ (come era chiamato dai suoi amici) fino ad arrivare alla sua brutale morte, in questo arco temporale possiamo osservare dei frammenti potenzialmente sconnessi, racconti di vita che arrivano direttamente da diari ed opere del poeta; nonostante ciò non risulta necessaria alcuna rielaborazione: Pasolini anche oggi è tremendamente attuale, la sua opera sembra poter fare luce in maniera estremamente moderna sulle contraddizioni di un uomo e della società nella quale è inserito.

La rappresentazione risulta, nonostante la narrazione frammentaria, lineare e incredibilmente potente, gli estratti sono infatti selezionati con grandissima accuratezza al fine di generare nello spettatore una sensazione di pienezza e comprensione, seppur tratteggiata, della magistrale figura storica di cui la nostra letteratura può fare vanto.

La scenografia, composta da un prato verde in salita e da uno schermo su cui vengono proiettati colori e immagini collegate ad ogni fase della narrazione, non risulta mai invasiva, eppure riesce ad essere impattante e a trasportare in un limbo che oscilla tra la citazione di fatti realmente accaduti e l’ingresso in una dimensione di simbolismo e onirismo; sembra quasi rappresentare l’interno della mente dell’artista, con immagini e ricordi che compaiono, interagiscono con lui, ma che devono a un certo punto essere lasciati andare. In questa dimensione scenografica così ampia i colori svolgono un ruolo fondamentale, tanto da influire anche sul lessico, dominante è il verde del prato ma anche il blu del cielo e della notte ci aiutano ad entrare nelle emozioni più profonde, più intime e nascoste del poeta. Marco Tullio Giordana riesce nell’arduo compito di confrontarsi con una figura così imponente, senza cercare di appesantire eccessivamente lo spettacolo né tentare di alleggerirlo eccessivamente cadendo nella superficialità, lo fa con l’umiltà di chi è consapevole di confrontarsi con un grande, non solo con la sua dimensione poetica, bensì con la dimensione totale, di una persona che è prima di tutto umana e in seguito gigante non solo nella letteratura bensì nella storia d’Italia.

Il grande merito di questa pièce sta per l’appunto nella ricerca di non andare oltre le parole e i pensieri di Pasolini, bensì nel far parlare esclusivamente il poeta, delineando un quadro generale della sua vita e delle sue idee quasi come se su quel palco fosse presente egli stesso, per omaggiarci di una raccolta acuta e imponente di pensieri relativi a ogni sfera della vita. Senza dubbio questo attaccamento così rispettoso e quasi reverenziale agli scritti di Pasolini rende la fruizione dello spettatore un’impresa non semplice, viene infatti richiesto un livello di attenzione e un coinvolgimento molto elevato, anche in momenti che possono risultare meno lineari e più complessi da seguire, ciò non è però un lato necessariamente negativo, infatti il rispetto grandissimo che Marco Tullio Giordana nutre nei confronti della figura di Pasolini lo pretende anche da noi pubblico, e noi fierissimi di darglielo abbiamo avuto la possibilità di accogliere un’opera che senza dubbio aggiunge una sfumatura nuova al nostro modo di vedere il mondo.

Perché ha dunque senso parlare di Pier Paolo Pasolini nel 2024? Perché ci troviamo di fronte ad una figura ricca di contraddizioni; una figura perennemente in conflitto sia a livello intrapsichico che interpsichico, che per tutta la vita non ha mai mantenuto la stessa forma; una figura contestata, dai suoi colleghi, dai suoi allievi e anche dalle istituzioni; una figura che non ha mai trovato la pace, e lo dimostra la sua morte violenta; una figura nella quale ognuno può rispecchiarsi; in conclusione Pier Paolo Pasolini è una figura che ha avuto il coraggio di cambiare, nelle idee e nella forma; ma soprattutto un uomo che non teme lo scontro col mondo e le contraddizioni delle sue idee, le accoglie anzi e accetta l’errore, come lo fu di considerarsi poeta necessario alla continuazione della narrazione italiana postfascista e del mondo del secondo dopoguerra, salvo poi rendersi conto che il male persiste e persisterà mutando la sua forma, che la sua morte poteva essere nota lieta per alcuni, dolorosa per altri, ma sicuramente ambigua e ambigua resterà nella storia.

Salvatore Di Napoli e Lorenzo Amaducci

Questo articolo ha 0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna su