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Avete letto bene il titolo e no, non è un clickbait.

Per capirlo bisogna prima aggiornare la definizione comunemente usata di “disabilità”, con quella in uso, ma poco spiegata, da istituzioni e mondo scientifico a partire dagli anni ’80.

Non è un concetto nuovo, ma introduce un punto importantissimo: avere disabilità (fisiche, cognitive, sensoriali), non è solo costituito da un valore numerico, ma più la società attorno a noi crea spazi e strumenti per accomodare le necessità di una persona disabile senza che essi richiedano fatica o ostacoli, meno questa dovrà percepire le proprie disabilità come delle limitazioni ma più come differenze.

Esempio lampante di questo sono i vari

disturbi della vista: esistono ancora leggere discriminazioni tra i bambini, ma nella società in generale, quella che è a tutti gli effetti una disabilità non viene nemmeno percepita come tale o vista in questi termini e le operazioni di restituzione delle diottrie non sono nemmeno forzate sul paziente, che può optare di portare lenti a contatto o occhiali tutta la vita.

Dall’altro lato stanno per esempio tutte le malattie croniche o le diverse forme di neurodivergenza (autismo, bipolarismo, schizofrenia, disturbi specifici dell’apprendimento “DSA” ecc.).

Ed è qui che inizia il problema: in italia per gli anni 2022 (2 miliardi) e 2023 (4 miliardi), ci sarà un taglio totale della spesa per la sanità di 6 miliardi di euro (dati dalla Nadef).

E c’è un altro dato, proveniente dai dati

OCSE: i nostri dottori sono i più vecchi in assoluto. Questo si riflette in molti problemi di salute legati alle pazienti, che vengono trascurate o ignorate, lo stesso vale per il trattamento di molte malattie mentali e disturbi; ed è proprio qui il punto, molti dottori mancano di “intersezionalità”, (una buzzword che però stavolta funziona molto bene) e cioé della capacità di connettere problemi della loro area di studio con le basi di come questa area possa essere influenzata dalla presenza di una o più disabilità.

Ed è, purtroppo quello che è successo anche a me, soffrendo, oltre ad altre cose, di DOC (o “OCD”, come è conosciuto in inglese) e disturbi d’ansia, gran parte delle mie difficoltà coi pensieri, con la gestione delle ansie e dello studio, sono stati comunque ridiretti al DOC, e cercati di risolvere con un continuo tentativo di

sopprimere il disturbo, anche con medicinali che si sono rivelati spesso inefficaci, o efficaci per brevi periodi, senza mai una volta migliorare la qualità della mia vita, per poi scoprire che avevo effettivamente disturbi dell’apprendimento.

La morale di questa storia è di dimostrare che molti dottori, per quanto bravi e capaci di tenere il sistema in piedi nonostante i continui tagli, siano spesso incapaci di ascoltare effettivamente chi hanno di fronte, e finiscano per far più male che bene con le persone in situazioni più complesse.

Ma se pensavate che questo fosse il peggio ora viene il rapporto col mondo “fuori” quello parzialmente o per nulla formato sui temi.

Per ottenere una diagnosi di “disturbo dello spettro autistico” nella mia città bisognava prima rifarsi ad un centro della

circoscrizione NON specializzato sul tema, e POI si aveva accesso ad una lunghissima lista d’attesa ad un centro top di gamma obbligato però a servire non una, non due, ma tre regioni, con orari di apertura di 3 giorni a settimana.

Le università, che si vantano da anni di servizi incredibilmente accessibili, seguono pratiche burocratiche e design delle interfacce, spesso convoluti:  pagine nascoste e difficili da trovare, servizi di messaggistica e pagamento che richiedono di affidarsi a terze parti e che disperdono la attenzione di chi, come me, fa fatica a seguire i passaggi necessari.

Per non parlare poi delle segreterie (anche di servizi legati alle persone disabili e fatti da associazioni PER persone disabili) come quello per il DSA per adulti o dell’università, che sono aperti pochi giorni a settimana, per pochissime ore, in orari

stranissimi (alle volte accavallati ai pasti).

Insomma, con gli esempi potrei andare avanti all’infinto, il concetto lo avete capito: in un paese normale queste cose non dovrebbero succedere, ma non solo questo, se queste cose non succedessero la mia vita sarebbe stata molto diversa, ed è questo che mi fa pesare la mia disabilità, che pure se molti studi dimostrano che potrei vivere tranquillamente con gli strumenti adatti, eccomi qui, a scrivere un pezzo dove mi scazzo.

È questa insomma la trappola della disabilità in Italia di cui parlavo all’inizio:

è difficile parlare con chiunque, quando ancora i termini con cui ci definiamo vengono usati come insulti, quando gran parte dei servizi “per noi” non lo sono davvero, ma sono per chi si immagina ci stia aiutando, o quando gran parte degli aiuti di operatori che offrono aiuto a

deambulare a persone con mobilità ridotta devono essere in molti casi completamente o quasi a carico dei privati, rendendoli totalmente dipendenti da parenti o partner.

Insomma, avevo bisogno di vociare la mia tristezza, di aver visto tantə amicə perdersi e la paura di perdermi anch’io, di perdere il futuro, di perdere le amicizie e perché no, la rabbia di questo paese che ci vede come battute, che usa i termini che ci definiscono come insulti, che mi ha obbligato per anni a nascondere quel poco di disabilità che avevo e che ha obbligato mia madre a rinunciare a tante cose belle.

Edoardo Merlone

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